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Mamma, da grande voglio fare l’influencer! O forse no.
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Mamma, da grande voglio fare l’influencer! O forse no.

Voglio prendere spunto dai video di Osservatricescaltra per fare un po’ di Sano Sputtanamento™ anch’io.

Sono una blogger sconosciuta, non ho grosse pretese, faccio il mio. Ho sempre preso il blog come un semplice hobby (anche se molto impegnativo), non ho mai voluto diventare una MUA professionista, non ho mai voluto espormi troppo perché alla privacy ci tengo forse anche troppo.
Sono una persona semplice e tale vorrei rimanere.
Certo, piacerebbe anche a me poter guadagnare esclusivamente tramite questa piccola attività, ma la realtà è un’altra, almeno per ora.


La realtà è quella di cui parlano Pretty Pastel e Samantha Ravndahl.

In soldoni: il business è business, non gliene frega niente di sentimenti e talento.
Che cosa tristissima, eh?

Circa 10 anni fa, che non sono pochi, sono stata contattata da un’azienda che mi chiedeva di collaborare in quanto colpita dalle mie belle foto (all’epoca erano tutto fuorché belle, questo va detto).
Capirai, non mi sembrava vero e ovviamente ho accettato, precisando che avrei riportato nei miei articoli solamente ciò in cui credevo, in totale onestà e trasparenza. Devo dire che da questo punto di vista nessuno ha mai avuto da controbattere.
Ho sempre avuto molta libertà sia nello scrivere, sia nel pubblicare le mie recensioni secondo le mie scadenze.

Allora qual è stato il problema?
Beh, intanto a un certo punto è iniziata la differenziazione fra blogger (o influencer, come volete) di serie A e di serie B.
Ricordo benissimo che uscì un prodotto importante, tanto tempo fa, e ci (a noi meno famose) dissero che non l’avremmo ricevuto per mancanza di scorte, qualcosa del genere. Onestamente la cosa ci lasciò assai perplesse, ma non fu difficile capire, soprattutto dai video in circolazione, a chi erano andati questi lanci così attesi e perché.
Un altro motivo è che mi sono sentita sempre in difetto nei confronti dell’azienda da quando ho cominciato a evitare gli eventi. E qui si apre un vasone di Pandora.

A volte ho voluto evitare, mentre altre volte ho dovuto, e sono due cose ben distinte.
Dal mio punto di vista, l’hanno sempre presa come un non aver voglia di partecipare, un po’ come quando all’università non hai obbligo di frequenza ma si straniscono se non ti presenti perché devi farti vedere a lezione.
Sicuramente sono risultata pesante e anche un filo esagerata, ma se ho parlato in certi termini è perché ho oggettivamente avuto motivazioni molto importanti per non palesarmi, quando non è dipeso da me.
Quando la cosa è stata voluta, invece, si è trattato di altro. Non mi sono mai sentita a mio agio in mezzo alle giovani bellone che occupano la scena al giorno d’oggi, non mi sono mai sentita a mio agio perché è sempre mancata l’interazione (e l’integrazione) fra blogger e tubere, non mi sono sentita mai a mio agio perché bene o male le altre si conoscevano tutte mentre io ero sempre da sola – salvo 2-3 persone con cui sono ancora in contatto.
Detto questo, gli eventi a cui ho partecipato sono stati ben organizzati sotto tutti i punti di vista, compreso quello culinario. Grazie!

Un altro problema, il più grande, è stato il modo in cui mi hanno scaricata.
È vero, non ho mai avuto un rapporto super costante con le responsabili, ma è sempre stato tutto molto tranquillo e c’è sempre stato rispetto da entrambe le parti.
Tale rispetto è venuto a mancare nel momento in cui mi è stato detto, parafrasando, che mi hanno mollata perché non recensivo più i prodotti da tempo. Ecco, la realtà delle cose è un’altra.
Ho sempre fatto presente che c’erano problemi (privati) di un certo rilievo che ovviamente avevano la priorità assoluta su tutto, ma casualmente non ho mai ricevuto risposta a tre quarti delle mail che inviavo. Mi dicevo: “Ci sta, sono indaffarati, parliamo di un’azienda grossa” e mi ripetevo che non avendo mai ricevuto particolari pressioni, casomai mi avrebbero ricontattata loro. Seh, col cavolo.
Non mi hanno mai calcolata nemmeno quando domandavo informazioni su alcuni dei loro prodotti.
Il culmine è stato raggiunto quando, a forza di mandare mail e messaggi, una delle responsabili ha candidamente ammesso di non ricordare nemmeno chi fossi. Ho capito che non sono la Ferragni, però mi avete ingaggiata voi, eh. Allora in questi anni con chi parlavo?

C’è qualquadra che non cosa.

Mi è dispiaciuto perdere una collaborazione così importante perché, ingenuamente, pensavo di aver trovato dall’altra parte un qualche rapporto umano che evidentemente non è mai esistito. E sì, resto stupita perché non collaboravamo in duemila, eravamo relativamente poche.
Quanto ai prodotti che ricevevo e recensivo, non c’è problema: il mondo non è solo pieno di influencer, ma anche di altrettanto validi brand.
Credo che prima di arrivare a dire “Questa qua non scrive più e non ci ha nemmeno avvisati”, sia il caso di leggere la posta e magari rispondere “Okay, grazie per avercelo detto, ci dispiace ma stando così le cose dovremo interrompere i rapporti”. L’avrei trovato più corretto. Se nessuno apre bocca, posso anche pensare che non sia un problema.
Dopo quasi 10 anni, mi è sembrato un po’ come dire: “Questa vuole accattarsi la roba gratis senza produrre, mandiamola a cagare”. Mah.
Non pretendevo il classico pacco di addio (dalla regia mi dicono che le agenzie/aziende serie fanno anche queste cose), ma un po’ di educazione me la meritavo anch’io.

Se avessi un’azienda mia terrei certamente conto del profitto, ma presterei anche molta, moltissima attenzione a farmi rappresentare da certi elementi, poco professionali, poco istruiti e pure poco competenti. Purtroppo viviamo nel paese dei balocchi, dove conta solo l’apparenza e/o il numero di follower hai sui social, poi se non sai usare il congiuntivo o non sai che “qual è” si scrive senza apostrofo, sticazzi.
D’altra parte viviamo nel secolo in cui la massima aspirazione di un essere senziente è quella di partecipare al Grande Fratello…

Sapete che vi dico?
Sono fierissima di essere una microinfluencer – ho scoperto che adesso si dice così.
Sono orgogliosa di poter parlare liberamente di tutti i prodotti che voglio, senza sottostare a condizioni che minacciano la mia integrità personale
– e con questo non mi riferisco alla mia ex collaborazione.
Sono felice di non essere cercata da centinaia di brand (o agenzie che lavorano per conto di brand) se il mio ruolo deve essere solo quello di generatrice di profitti, senza uno scambio umano di qualche tipo.

Lo so, con questa testa non potrò mai andare oltre, e forse mi sono illusa che ci si riuscisse e che si potesse creare qualcosa di diverso. Non ditemi che “Fanno tutti così” perché io non lo accetterò mai.
A lion doesn’t concern himself with the opinion of a sheep, diceva il buon Tywin.
Sfido le dure leggi dell’economia, ma preferisco tenermi la mia piccola povera coscienza luccicante a prova di Mastro Lindo, piuttosto che diventare miliardaria e sentirmi vuota dentro.
Poi oh, se riuscissi a combinare entrambe le cose…

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