Ciao.
È trascorso molto tempo dai miei ultimi articoli, quindi, sebbene sia probabilissimo che nessuno leggerà mai questo né quelli futuri, mi sento di dover dare delle spiegazioni. Più o meno.
Tralasciando le questioni personali, motivo principale della mia prolungata e altalenante assenza, il punto è che sono stanca.
Questo post iniziava così, poi ho deciso di modificarlo perché era scritto come un flusso di coscienza incomprensibile…
Il sito, i miei profili social, tutto quello che riguarda BurningBeauty.net, è un bellissimo hobby nato nel 2010 e attivo ancora oggi, nonostante sia soggetto ai miei frequenti sbalzi d’umore, come scrivevo poc’anzi.
Un hobby. Per il quale non ricevo compensi e per il quale nessuno mi paga.
Lo so che starete già pensando alle affiliazioni, ma al momento con quelle non mi entrano in tasca nemmeno i soldi per una spesa. E la colpa è pure vostra che non le usate.
Quando ho intrapreso questa mini avventura, non l’ho fatto per me in senso assoluto, come qualcuno mi ha suggerito erroneamente. L’ho fatto perché cercavo qualcuno che avesse i miei stessi interessi, con cui scambiare pareri e/o consigli. Come si fa tra amici, più o meno.
Tutto è filato liscio finché il mondo non è cambiato e non è cominciata l’era degli influencer.
Anche quello è un lavoro, sebbene in molti lo mettano in dubbio ancora oggi perché “non è stremante come andare in miniera”. Sicuramente no, ma non è nemmeno una passeggiata.
La questione, per me, nasce dal fatto che il circolo vizioso che lo accompagna è diventato sempre più grande e ci ha inghiottiti tutti come uno stomaco che crea la voragine per la fame di pizza.
Così nel corso degli anni ho iniziato a farmi i conti in tasca, perché sono convinta che il mio tempo, come quello di chiunque altro, valga molto, e meriti di essere conservato per permettermi di dedicarmi ad altro se questa cosa (il famoso hobby) non mi soddisfa più.
Fin qua tutto chiaro, credo.
Non ho mai voluto e mai vorrò fare l’influencer di mestiere, come spiegavo malamente qui, perché sono abbastanza certa che non sia un lavoro compatibile con le mie esigenze e il mio carattere.
Anzi, ho avuto più brutti momenti che belli, in termini di collaborazioni durature, quindi vorrei vivere la cosa più serenamente in futuro. Lo stesso brand che menzionavo nell’altro articolo, per esempio, sapendo delle mie disgrazie non si è dimostrato per niente comprensivo, probabilmente perché conto poco rispetto a quelle che fanno i grandi numeri. Per me, invece, il rispetto, la comprensione e un minimo di empatia dovrebbero essere alla base di qualsiasi rapporto, lavorativo e non.
Vorrei anche non affogare nell’ansia del dover comprare tutto subito per realizzare contenuti istantanei, soprattutto se non mi pagano, perché non ha senso. È un mondo troppo veloce per me: io voglio avere il tempo di provare un prodotto per poter dire poi cosa ne penso, voglio avere il tempo di scattare due foto fatte bene (almeno secondo i miei canoni), voglio potermi esprimere come mi pare senza dover ripetere a pappagallo le cose come in una pubblicità in tv. Eh, lo so, troppe pretese, soprattutto se non sei nessuno.
Ho visto mille volte video che mostravano prodotti di sei mesi prima additandoli come vecchi, e mi veniva da ridere… per non piangere. “Vi ricordate questo?”, ma se è uscito poco fa!
Oppure quelle che “questo trucco fa molto 2016”, come se parlassimo del paleolitico… BOH.
Senza contare che sti influencer, la maggior parte dei quali per me resta inaffidabile, sono visti come oracoli specialmente dai più giovani. Infallibili, intoccabili, fra un po’ innominabili invano. Ce ne fosse uno mai che dicesse “oh, io sono normale, datevi una calmata”. C’è una certa smania, la fiera del narcisismo e dell’individualismo. Io, poi, non ce la faccio più a vedere visi ormai tutti identici che fanno le stesse smorfie, usano le stesse pose, recitano le stesse righe, provano gli stessi prodotti nello stesso momento…
Contestualmente, ho notato con molto dispiacere che ormai, sui social, si va involvendo sempre più.
Belli i booktok, ma io credo che senza audiolibri, senza skippare capitoli o parte di essi, senza riassunti, col cazzo che la gente riesce a leggere 20 libri al mese avendo anche una vita di un certo tipo (aperitivi, scuola, feste, amici, cene, famiglie). Non si leggono più neanche i blog, figuriamoci il resto. Non prendiamoci in giro, l’ignoranza e il delirio di onnipotenza e onniscienza dato dai social, da qualcosa saranno pur dettati. Un saluto ai novax *coff coff*
Ovviamente sto generalizzando molto per spiegare un concetto… che resterà chiaro solo nella mia mente, lo so.
Mi chiedo se sia un problema solo dei giovanissimi, che non sanno stare concentrati su una cosa per più di cinque minuti filati. L’altro giorno ho letto un commento da qualche parte che diceva: “Ciofeca è una parola da boomer”. E lì ho desiderato l’estinzione definitiva e istantanea del genere umano.
Sappiamo che le aziende da sempre mirano solo ai numeri e ci guardano come se fossimo delle banconote viventi. Influencer e utenti sono solo numeri. Altro che empatia.
Per quanto si possa essere cordiali con chiunque, non si tratta di un rapporto di amicizia. Negli anni ho imparato che troppa gentilezza e troppa disponibilità nascondono spesso qualcosa di brutto: alla fine serviamo solo a generare profitto.
Il concetto del “senza di noi X non esisterebbe” è verissimo, peccato che non si attuino mai azioni di massa per boicottare certe situazioni o certi individui di cui non faremo nomi per non farci arrivare gli avvocati a casa…
È un po’ come il discorso delle collaborazioni: alcuni brand pensano di poter farti credere che se ti regalano prodotti, sarai disposto a parlarne bene e anche spesso. La realtà dei fatti è che se mi mandi un pacco regalo, senza sottoscrivere alcun contratto, io ringrazio, parlo di quello che mi piace (o non mi piace) nei termini che credo opportuni (sempre nell’ambito dell’educazione e del rispetto reciproci), con la frequenza che ritengo opportuna. Ciò significa che siamo amici? Assolutamente NO.
Se, invece, sto firmando un contratto e ricevendo compensi, le cose cambiano e dipende tutto da quali sono gli accordi, ma non diventiamo comunque amici di merende.
Quando vedete qualcuno che non ha mai parlato di un particolare brand (già famosissimo) in precedenza e ora gli fa le famose marchette, probabilmente ci lavora e lo pagano. Io, utente, non mi fido.
Quando vedete qualcuno che il brand lo conosce e improvvisamente sponsorizza, senza dichiararlo apertamente, un prodotto appena uscito (quindi senza averlo testato come si deve), rientriamo di nuovo in questo caso. E io, utente, non mi fido.
Quando qualcuno smette di recensire un brand perché non riceve più prodotti, nonostante i follower chiedano insistentemente di provare questo e quello, io non mi fido. Che scema, pensavo acquistassero a prescindere dalle collaborazioni, e invece…
Insomma, invece di fare le pecore impazzite scappate dall’ovile, stiamo attenti.
“Eh ma se sei bravo, un seguito te lo fai lo stesso, pian piano”. Non è vero.
Ho visto un sacco di persone, anche al di fuori della beautysfera, farsi un mazzo così per emergere, avendo tutte le carte in regola e forse di più, e non riuscire perché si dà spazio solo ai big.
La colpa è sia di chi li manda avanti in questo modo, sia di chi li segue, non aprendosi alle novità e dando per scontato che solo loro siano i mejo. Il famoso circolo vizioso della pizza.
In più ci si è messo pure TikTac, sia come piattaforma che come utenza.
Purtroppo Instagram ha trovato un grosso competitor, e per questo ha pensato di rovinarsi l’esistenza, oltre a rovinarla a chi, sostenendola, ha creato la sua fortuna.
Siamo nell’epoca dei video verticali, una roba che io odio a morte. Per non sentirsi da meno, IG ha inventato i Reels. Insomma, fanno a chi ce l’ha più grosso, come sempre.
Problema: vi trovate mai il feed pieno di video di persone sconosciute e di cui, spesso, non vi frega una mazza? Io sì, e sapete perché? Perché così funzionano i Reels.
Vanno avanti quelli “virali”, a discapito di contenuti minori, come le foto, che vengono nascosti. In questo modo Markello si arricchisce alle spalle di chi, stanco di questa situazione, un domani potrebbe decidere di sponsorizzare i propri contenuti per ottenere più visibilità. Anche spendendo poco, eh. E lo fanno, eccome se lo fanno!
“Ma i Reels ti pagano, lo sai?”, sì, lo so, ma per partecipare al programma “Faccio l’influenZe, datemi i soldi gratis” bisogna raggiungere un numero di visualizzazioni abbastanza alto, oltre che costante. E non sono sicurissima che funzioni anche in Italia, dovrei fare delle ricerche in merito.
Esistono anche features interessanti, come le guide o gli abbonamenti, però i video non riesco proprio a farmeli scendere. Per me IG resta il social statico: ho già pubblicato un paio di video, ma non mi sento a posto con me stessa. Non mi piace, non vedo il senso. Tra l’altro io posto solo contenuti senza musiche, ormai, perché non voglio guardare video completamente muti ma ogni santa volta che clicco l’icona del volume mi si stappano i timpani con quelle musichette di merda a millemila decibel. Un sacco di persone aprono i social sui mezzi, per strada, nel bagno dell’ufficio, che ne so… e non hanno voglia di casino perché non sempre usano le cuffie. Sono scelte pure quelle, a volte obbligate e a volte meno.
Per non parlare del fatto che adesso non puoi nemmeno andare tranquillo per negozi o per strada, perché sicuramente c’è qualcuno che ti sta riprendendo, volontariamente o come sfondo di qualcos’altro. Si stava meglio quando si stava peggio.
Dicevo… Ormai moltissimi fotografi, professionisti e non, più o meno noti, hanno abbandonato completamente la piattaforma per le ragioni che ho appena elencato. Sbarcano su Twitter (e anche qui ci sarebbe molto da commentare…) sperando di trovare più engagement. E IG cosa fa? Niente, perché l’importante sono i soldi, mica le persone.
Prima di dire che “il mondo va così”, ricordiamoci che qualcuno ce lo manda. Invece di ergersi a paladini dei social chiedendo sostegno per chi vede la propria attività sopraffatta dalle nuove tecnologie, evitassero di partecipare e postare venti reels al giorno, in massa, che forse è una tattica più efficace. Live together, die alone. (cit. per pochissimi, oramai)
Anche io uso sporadicamente il social verticale, e ho più di un account perché ho interessi diversi che non voglio interferiscano uno con l’altro.
Sporadicamente significa proprio questo: poco e con parsimonia. Può creare dipendenza, mi rendo conto, ma ci si riesce a moderare. Basta non aprirlo, non è difficile.
È un social che sfrutto principalmente per la ricerca di prodotti perché lo trovo immediato, anche se molto spesso la qualità dei video lascia a desiderare (si vedono male i colori, per esempio). Se non mi convince cerco informazioni più dettagliate altrove, in maniera più approfondita.
Di contro: è un social confusionario, un mischione di cose, la ricerca funziona ma con delle grandissime limitazioni, ed è frequentato per la maggior parte da analfabeti funzionali che non sanno ancora usare l’acca in modo corretto. Non ho mai lasciato commenti per non entrare in polemiche sterili, ma più volte il mio animo cagacazzi avrebbe voluto cedere alla tentazione. Leggo tanta maleducazione, più che altrove. Leggo gente che esige rispetto quando per prima non lo dà. Leggo presunzione, arroganza e immaturità. Il peggio dell’umanità raccolto in un’app, che brivido.
Tralasciando il non saper parlare (di solito le frasi sono composte da parole o sillabe tipo “cèèèèè”, “bro” e simili, buttate a caso per dargli senso), non sopporto che prevalga l’ignoranza su tutto. In Italia è così: se uno non sa mettere l’apostrofo, non sa coniugare un verbo, non sa parlare inglese, e tu gentilmente lo correggi (come ho visto fare), sei tu lo stronzo. Perché mortifichi un’altra persona invece di lasciarla libera di pascolare e collezionare figure di merda ogni secondo che campa. Certo.
Io, poi, sulla questione degli anglicismi non ce la faccio proprio più.
Ma che minchia vuol dire “ho comprato un LIPSTICK”? Da quando è necessario usare le parole straniere per parole che esistono già tradotte in italiano? Non fa figo, fa stupido.
Per non dire di quante volte e in che modo (sbagliato, ovvio) vengano usate parole come DISTURBANTE, LETTERALMENTE, ABUSIVO, eccetera. Guardare serie tv e video YT non rende nessuno un madrelingua inglese. E con molta probabilità, un madrelingua non vi dirà mai che parlate male, per ammirazione e per educazione. Cazzo, almeno imparare a leggere correttamente i nomi dei brand e dei prodotti che vengono utilizzati nei contenuti! Nel 2023 ancora non sanno dire EYELINER. Eddai!
L’altra chicca, che però ammetto di ritrovare più sul Tubo, è la fetta di influencer green che se ne stanno in casa in canottiera in pieno inverno, quando fuori ci sono (meno di) zero gradi. Magari sbaglio, eh, ma ricordavo che il riscaldamento andasse tenuto sotto i trenta gradi, soprattutto di questi tempi e per ragioni non soltanto climatiche…
Un altro esempio di social usati malissimo: il mio compagno è appassionato di geocaching. Purtroppo le minchiate di TikTac sono arrivate anche qui: gente che ruba le cache, gente che fa vedere dove sono nascoste senza spiegare come si gioca, gente che fa credere che sia tutta una questione di soldi e telefoni regalati, gente che logga mille cache tutte insieme… con il risultato che poi ste benedette cache vengono disabilitate da chi le ha create, giustamente, per non incorrere più in problematiche simili. In parole povere, non si è manco più liberi di giocare/avere un hobby in allegria, perché qualche stronzo ci rovina la festa.
Se vogliamo restare in tema beauty, ho altri esempi lampanti.
Uno riguarda la reperibilità dei prodotti: avrete notato certamente anche voi che, spesso, diversi prodotti di make up diventano introvabili, almeno per un lungo periodo di tempo. Basti pensare ai 3D Hydra Gloss di Kiko, o al rossetto Black Honey di Clinique, per non parlare del Labello che ormai è una specie di Sacro Graal. Per sbaglio ne ho presi due alla mora e ho stabilito che uno lo terrò di scorta, per rivenderlo a cinquanta euro quando scompariranno di nuovo.
Sono giunta alla conclusione che forse, forse, le aziende ci giochino su, producendo meno e creando loro stesse questa scarsità di prodotti per far sì che la domanda aumenti progressivamente. Fatto sta che prima di TikTac sti problemi non li avevamo, e dico problemi perché se una persona ha usato Black Honey per anni e adesso fatica a trovarlo in qualsiasi posto, online e offline, c’è qualquadra che non cosa.
Parlano tutti di passione per il trucco, e poi nove volte su dièshi non sanno cosa si stanno mettendo in faccia. Se avessi un centesimo per tutte le volte che ho sentito un influencer affermare “Mi hanno mandato questo, non so a cosa serve perché non ho letto ma adesso apro e vediamo… Ah, che scem@! Non serviva a questa cosa, ops!”…
Adesso è tornata la moda delle cose reagenti al ph della pelle. Sorcery! Ma non le infilavano perfino nel Cioè, ste cose? Veramente devo pensare che questi appassionati non facciano mai mezza ricerca per capire cosa hanno davanti agli occhi? Cosa ci sarà mai di così rivoluzionario? Davvero fino ad oggi nessuno aveva provato un burrocacao colorato?
Poi mi ricordo di questo video e capisco tante cose:
Questi non sono cute, so scemi. Un mondo parallelo, un’altra galassia, il mondo degli unicorni.
Vogliamo continuare parlando dei dupe?
Ora, io il blog ce l’ho da quando tutti conoscevano Temptalia – lo dico solo per inquadrare le tempistiche, non per farmi bella.
Quello che da blogger si faceva ai bei tempi era, indovina un po’, la ricerca dei dupe! Era una delle nostre attività principali: c’erano anche molti meno prodotti, è vero, ma ci piaceva scovare somiglianze fra questo e quello, un po’ per risparmiare soldi e un po’ per puro divertimento.
Adesso, con l’avvento di queste piattaforme per pecoroni, è tutto un dupe. Non trovi Labello? Prendi Black Honey che è uguale, cambia solo il prezzo. Non è vero, mannaggialaputtana!!!
Il dupe è un doppione, anzi, un duplicato, una copia. Per quanto mi riguarda, spesso lo si confonde con un prodotto dello stesso colore, e basta, che presenta caratteristiche completamente diverse dall’orginale. Se parliamo di rossetti, ad esempio, spesso vengono paragonati i formati in stick con quelli liquidi, che c’azzeccano come i cavoli a merenda già a partire dalla formulazione, per arrivare poi al finish, alla durata, la stesura… insomma, il colore è l’ultimo dei problemi, e spesso anche quello non combacia perfettamente. Non puoi acquistare il Glow Oil di Dior? No problem, prendi il dupe su Amazon! NON SONO LA STESSA COSA. Considerato che nel 2023 in molti non sanno ancora distinguere tra tinta labbra e rossetto liquido, non dovrei meravigliarmi, lo so.
Fra l’altro, Dior si trova anche scontato del 30%, se si cerca BENE online, a differenza di Charlotte Tilbury che continua a costare un rene…
Semplicemente, nel Mulino che vorrei, il mondo funziona in maniera diversa, e mette al primo posto non i soldi, non la fama, ma la pace dei sensi di tutti quanti. Con un po’ meno imbellettamenti, finzione, ignoranza e ipocrisia.
Tornando a me, recensire prodotti, così, diventa molto complesso. Ha senso che io, sebbene per hobby, impieghi diverse ORE del mio tempo per non avere nulla in cambio? E non parlo di cose materiali, ma di un riscontro, di qualsiasi tipo sia. Sto famoso engagement di cui tutti parlano. Quello che, in fin dei conti, cercavo quando ho iniziato a scrivere qui (anche se il 90% dei vecchi post è tornato nelle bozze, ormai).
La risposta è: NO.
Ho finito, Vostro Onore.
Sono consapevole del fatto che ci sarebbe moltissimo altro da dire riguardo a molte questioni, ma poi non finisco più. Sono discorsi molto ampi, che includono tanti aspetti che non ho nemmeno lontanamente toccato perché ci si potrebbe davvero scrivere un libro (un libro vero, non le cagate che vanno di moda adesso…).
Non so, voi cosa ne pensate?